L’Italia è stata coinvolta in un conflitto globale che ha fatto 2 milioni di morti. In questo contesto le imprese italiane hanno confermato una volta di più la loro posizione di fanalino di coda e l’arretratezza tecnologica che purtroppo le contraddistingue, risentendo più di altre imprese europee di una netta diminuzione del fatturato. Una crisi che ha trascinato con sè anche i lavoratori.
La mancanza di innovazione nelle imprese, tipica dell’Italia, è anche lo specchio della generale mancanza di competenze digitali della popolazione.
In questo scenario di contrazione economica, le aziende che sono sopravvissute sono quelle con maggiori competenze digitali. Se prima del Covid parlare di digitalizzazione nelle imprese era visto come una spesa che si poteva evitare, un investimento tipico solo delle grandi aziende, ora, nel 2020, nel bene o nel male, abbiamo la prova concreta che l’innovazione digitale non è un costo inutile, che la correlazione tra performance e investimento digitale non è solo un dato di fatto oggettivo ma anche quel qualcosa che fa davvero la differenza tra chi cresce e chi no.
Confindustria riporta che le industrie digitalizzate hanno avuto negli ultimi 3 anni un trend di crescita della forza lavoro superiore alle aziende che non hanno implementato tecnologie digitali. E anche dell’operatività.

E-commerce, ma non solo
Anche gli imprenditori più reazionari, a causa del lockdown, hanno dovuto accettare di ampliare i propri canali di distribuzione, passando dal solo offline anche all’online, approdando così alla costruzione di siti di e-commerce (cresciuti del 50%), così come a investimenti nel cloud, passati dal 23% del 2018 al 59% del 2019.
Quello che ancora manca è però una visione di lungo periodo: non ci si può limitare a fare un sito di e-commerce perché il negozio è chiuso. Ad oggi, l’investimento in Big Data è pressocché invariato se non diminuito e addirittura sono scese le quote di aziende che investono in esperti Ict. Questi numeri mostrano un aspetto che sta alla base della scarsa digitalizzazione italiana: manca una cultura diretta all’innovazione e mancano le competenze. Da un lato le aziende non sono interessate ad innovare; dall’altro è difficile trovare lavoratori con gli skill richiesti: in Italia solo l’1,3% dei laureati ha una specializzazione in Ict (la media europea è del 3,8%).

Recovery Fund: 209 miliardi, anche per la Digital Transformation
Seppur in continuità con il Recovery Plan di Conte, il Recovery Fund di Draghi ha dimostrato una maggiore attenzione verso il Digitale ed è ancora in fase di discussione la possibilità di spostare ulteriori somme da alcuni capitoli verso quello della Digitalizzazione. L’investimento in innovazione avrà anche due obiettivi: ridurre il divario tra Nord e Sud ed essere pronti per affrontare la sfida internazionale.
La parte di Recovery Fund destinata al Digitale non riguarderà solo investimenti per le PMI ma anche per contribuire ad accrescere l’alfabetizzazione digitale: l’Italia è all’ultimo posto in Europa per competenze digitali, e non si può pensare di insegnare coding solo alle scuole tecniche superiori o al liceo: la rivoluzione dovrà partire fin dalle scuole elementari.

Bonus per l’Industria 4.0
Nel PianoTransizione Digitale 4.0 (circa 6,7 miliardi di euro) messo a punto dal Mise (Ministero dello sviluppo economico) rientrano tutta una serie di agevolazioni e contributi:

A questi si è aggiunto il credito di imposta per l’innovazione, utilizzabile per adeguare la propria impresa alle novità introdotte con gli investimenti 4.0. Questo prevede un’agevolazione del 10% per i costi sostenuti nel 2020 e del 15% per quelli sostenuti nel 2021.

La rivoluzione digitale delle PMI non sarà solo utile ma necessaria per quelle imprese e partite IVA che vorranno superare il periodo di crisi.